Credo di non aver mai in effetti pensato “sono piena di affetto, più di così non ce la faccio”. Forse solo quando ho avuto a che fare con un gruppo di trenta bambine in età elementare, ma ho il sospetto che anche lì ci fosse ancora un po’ di posto. In quel caso era un affetto legato alla tenerezza e all’ingenuità tipico dei bambini di quell’età. Pieno di dimostrazioni, dagli abbracci ai disegni. Tutto si trasforma nella manifestazione di un’emozione: gioia, riconoscenza, ammirazione, bisogno di aiuto, nostalgia…
Ancora oggi, che da quel periodo è distante otto anni, mi mancano quelle manine piccole che cercano la mia, quel sentirmi chiamare maestra, nonostante maestra non lo sia mai stata, quel cantare una ninnananna ad una camerata piena di lettini.
Probabilmente è stato quello il periodo in cui mi sono sentita più apprezzata. Inutile dire che ho inseguito quella sensazione in ogni altro ambiente che abbia frequentato, in ogni gruppo di persone e in ogni situazione. Ma forse si può essere così fortunati solo una volta nella vita, se ci va bene due. E allora io quella seconda volta la vorrei, per favore. Me la giocherei subito, che è inutile metterla via per un futuro che non sappiamo quanto lungo sia. Togliamoci il pensiero e fatemi dire di nuovo: “grazie, sono piena, più di così non ce la faccio.”